domenica 10 ottobre 2010

UN RICORDO DI LEVI-STRAUSS

"Je ne lis pas facilement l’italien, mais j’y arrive en m’appliquant". Il 7 giugno 1991 ricevo da Claude Lévi-Strauss una lettera che così inizia. Mi ringrazia per avergli inviato due miei libri sul Giappone, da poco usciti. Avevo saputo che Lévi-Strauss era di ritorno da quel paese dove, al seguito della moglie, esperta di tessuti tradizionali, aveva visitato tra l’altro la collezione di kimono del Museo nazionale di etnologia a Osaka, dove avevo a lungo fatto ricerche, e i miei colleghi di lì mi avevano comunicato quanto egli si fosse mostrato colpito da quella cultura che poco conosceva. Eccitato dal fatto che il ‘mio’ Giappone avesse sedotto anche il Maestro, ero stato colto dall’impulso di fargli quell’omaggio, senza riflettere sulla questione della lingua, anzi senza minimamente aspettarmi che trovasse tempo e voglia di leggere le mie pagine.
Tralascio il seguito di quella prima riga, per l’imbarazzo che provo a rileggerne i lusinghieri, immeritati apprezzamenti: ma il suo commento mostrava chiaramente che quei testi in italiano di un suo semisconosciuto collega egli se li stata davvero leggendo, sia pure a fatica. Non si trattava di una semplice espressione di francese cortesia.
E me lo immaginai, quel celebrato maître à penser, ottantatreenne, nel suo studio in alto nella biblioteca del Collège, chino sulle mie pagine, nello sforzo di comprenderne le parole, ‘en s’appliquant’. Che lezione!
Una lezione che a me torna alla mente quasi ogni giorno, una lezione per tutti noi di rigore e di passione per il comune mestiere di osservatori dell’uomo, una lezione di modestia scientifica nel continuo ricercare. Quale migliore insegnamento, attraverso questo piccolo aneddoto rivelatore, che invitarci a lavorare, a vivere, en s’appliquant?

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